Nella vita e nel lavoro, essere se stessi è la chiave del benessere psicofisico e, in un certo senso, della felicità. Serve coraggio, molto coraggio. Gli ostacoli da superare sono notevoli, a cominciare da quelli di chi ci circonda. L’esperienza aiuta ad acquisire consapevolezza, ma non bisogna aver superato i 40 anni per avviarsi in questo percorso, anzi. Prima te ne rendi conto, specie se sei giovane, meglio è per il tuo futuro.
Onestà radicale, con se stessi prima che con gli altri
Il concetto di onestà radicale è stato coniato da Brad Blanton, in un libro con lo stesso titolo (Radical Honesty), pubblicato per la prima volta nel 1994. Brad Blanton sostiene che dire la verità paga sempre, in ogni contesto. Il vantaggio principale è la chiarezza nei rapporti personali, qualsiasi sia il contesto di riferimento: in pubblico o in privato, in famiglia o in ambiente di lavoro. Essere onesti con se stessi è il primo passo per poter essere onesti con altri. Non è indolore, ma è l’unica strada verso la vita che vogliamo, non la vita che altri hanno pensato per noi. Sapere chi siamo e cosa vogliamo è indispensabile, per rendere chiari questi concetti agli altri.
Essere capaci di dire la verità ci libera dalla dinamica del palcoscenico, dove saliamo interpretando una parte; spesso ciò avviene anche per il nostro interlocutore, con il risultato che la conversazione, lo scambio di esperienze e di idee è un teatrino fine a se stesso, ben lontano dalla realtà dei sentimenti e degli intendimenti. Un’occasione mancata, perché l’onestà radicale permette di presentarsi come si è, attirando interesse e consensi da parte di chi ci è più affine. Le ricadute positive sono diverse: un ambiente più rilassato, maggiore comprensione reciproca, unità di intenti e fini. Il lavoro e la vita finiscono per assumere un sapore diverso: il tutto acquisisce un senso che prima non sempre aveva.
I tre livelli dell’onestà radicale
Essere onesti fino in fondo passa per un percorso in tre livelli.
Dire le cose come stanno
Il primo livello dell’onestà radicale è dire come stanno le cose, quando ci viene posta una domanda. Mentire è all’ordine del giorno, per motivi diversi. Vogliamo compiacere il nostro interlocutore, evitare situazioni in cui potremmo essere in difficoltà o più semplicemente preferiamo vivere in una falsa realtà, che ci dà l’illusione della comodità. Ciò di cui non ci rendiamo conto, o se ne siamo consapevoli evitiamo di pensarci, è che le bugie in cui siamo immersi ci vincolano a indossare maschere che finiscono per trasformare la percezione di chi siamo. Non ci riconosciamo più nelle identità che abbiamo assunto e cominciare a dire la verità genera un effetto liberatorio.
Onestà rispetto ai propri sentimenti e pensieri
Il secondo livello è essere onesti rispetto ai propri sentimenti e pensieri. Se ti viene chiesto come stai, non rispondere un generico “bene, grazie” senza neanche pensarci e chiedere altrettanto. Non è necessario rivelare segreti personali o dilungarsi in spiegazioni eccessive. Ciò che serve è far capire qual è il nostro stato psicofisico attuale e permettere all’altro di tenerne conto per il seguito della conversazione. Allo stesso modo ci dobbiamo porre in ascolto dell’altro e fare attenzione alla risposta che otteniamo, facendo capire che ci interessa veramente. Solo così può scattare quell’empatia che avvicina le persone. Certo, ciò ci rende vulnerabili, ma il rischio tende a zero se consideriamo che tutti lo siamo, in un modo o nell’altro. Si tratta semplicemetne di prenderne atto e andare avanti.
Svelare la finzione
Il terzo livello è più sottile. Si tratta di svelare a se stessi, prima che agli altri, la finzione che abbiamo creato e in cui abbiamo vissuto in passato. Un esercizio da ripetere continuamente, perché le occasioni per mentire e disegnare nuovi scenari di fantasia non mancano mai. Capire chi siamo e riconoscerlo a noi stessi richiede uno sforzo importante. Bisogna ammettere gli errori commessi e riconoscere i momenti imbarazzanti. Non per ridurre l’autostima, ma per ripulirsi delle scorie tossiche di un passato che non ci appartiene. Dopo questo percorso, chi siamo diventa una descrizione fondata sul qui e ora e meno una storia della vita trascorsa.
Il coraggio di non piacere
La psicologia Adleriana, raccontata attraverso un dialogo socratico tra due figure, un filosofo e un giovane, è il tema al centro del libro Il coraggio di non piacere, scritto da Ichiro Kishimi e Fumitake Koga. Il fulcro di questa scuola di psicologia è l’individuo e la sua capacità di essere felice, a prescindere dalle sue esperienze passate, traumi inclusi. Nel libro torna anche il tema del mentire e dello stress che esso genera.
Se ci sono dieci persone, devi giurare fedeltà a tutte e dieci. Se lo fai, per il momento riesci a non essere disapprovato da nessuno, ma all’orizzonte si profila una grossa contraddizione. Giuri fedeltà a tutte e dieci le persone per il desiderio ostinato di non essere disapprovato. Sei come un politico che, cadendo nel populismo, inizia a fare promesse impossibili e ad assumersi responsabilità troppo grandi. Naturalmente le sue menzogne non tardano a venire a galla. Perde la fiducia delle persone e conduce una vita di profonda sofferenza. Ovviamente lo stress di mentire senza sosta ha conseguenze di ogni tipo. Per favore, cerca di capire questo punto. Se vivi in modo da soddisfare le aspettative altrui e affidi la tua vita agli altri, menti a te stesso ed estendi la menzogna a coloro che ti circondano.
Il coraggio di non piacere
Uno dei passaggi chiave è l’essere se stessi, attraverso il coraggio di non piacere, ben riassunto nella citazione sopra. Un messaggio rivoluzionario, in un mondo in cui cerchiamo l’approvazione degli altri costantemente, anche fosse soltanto attraverso un mi piace lasciato a margine di un post su Facebook o Instagram. Più mi piace, più senso di realizzazione (di cosa poi?); meno mi piace, meno autostima. Fenomeno che si verifica soprattutto tra i più giovani, abituati a misurare il proprio valore in rapporto alla popolarità tra i compagni di scuola.
Percorrere la propria strada
La libertà comporta un prezzo da pagare: l’incertezza e il brivido di scegliere e sbagliare. Un brivido che molti, per mancanza di coraggio, preferiscono evitare, vivendo la vita che altri hanno scelto per lui.
Forse è più facile soddisfare le aspettative altrui, perché così si affida la propria vita agli altri. Per esempio, percorri la strada spianata dai tuoi genitori. Anche se ci sono molte cose cui potresti obiettare, finché rimani su una strada già tracciata non ti smarrisci. Se invece scegli da solo, è normale che ogni tanto ti smarrisca. Ti scontri con il muro del “come bisogna vivere”.
Il coraggio di non piacere
La disapprovazione altrui non va cercata, ma quando la si ottiene, è l’indice di essere sulla strada giusta. Non possiamo piacere a tutti. Quando siamo noi stessi, finiamo per piacere a chi siamo affini ed è questo ciò che conta.
Essere se stessi è il punto di arrivo
Vivere la propria vita, fregnadosene del giudizio altrui. La difficoltà di raggiungere questo obiettivo è che non si arriva mai. Essere se stessi è il punto di arrivo di una vita realizzata (e felice), ma l’equilibrio in cui ci troviamo non è stabile.
Non bisogna vivere come se rotolassimo giù per la china, bensì inerpicandoci lungo la salita.
Il coraggio di non piacere
La metafora della salita ben si addice a un concetto arduo da mettere in pratica e faticoso anche per chi lo pratica da tempo. Sappi che ne vale la pena e soprattuto che non sei solo. Chi non si conforma al modello dominante di cercare l’approvazione altrui online si vede meno o non si vede per nulla. Gli algoritmi non ti premiano e sembra che non esisti, ma esisti eccome. Ci vediamo lungo la salita e buon cammino.
Il coraggio di non piacere di Ichiro Kishimi e Fumitake Koga
Radical Honesty di Brad Blanton
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